martedì 31 dicembre 2013

Come far sì che il 2014 sia un anno buono?

Per prepararmi all'inizio dell'anno nuovo, oltre a riflettere sui miei progetti futuri e a leggere gli oroscopi, ho deciso di consultare l'I Ching. E, come sempre, il responso è stato complesso, inaspettato, tutto da interpretare.

La domanda che ho scelto di fare è in effetti abbastanza generica (il che complica un po' il lavoro interpretativo) ma ho cercato di porla nel modo "giusto": l'I Ching funziona al meglio quando la domanda non prevede in risposta un semplice "si" o "no".

Così ho chiesto: come posso fare per far sì che il 2014 sia un anno buono?
Piuttosto vaga come domanda, ma l'ho tenuta così anche perchè ero curiosa di vedere se l'I Ching mi avrebbe dato qualche spunto inaspettato... E così è stato.
A cominciare dall'esagramma: ho ottenuto il 37, La Casata. Per me che ho passato gli ultimi tre anni a scervellarmi su questioni lavorative, sulla strada da prendere, sui miei obiettivi professionali (ancora tutti da costruire), è stato un po' come sentirmi dire: sappi che se vuoi essere felice non devi trascurare gli affetti, la vita più privata, i legami famigliari. Io, che mi aspettavo una rivelazione a tema "lavoro", mi sono trovata a interrogarmi su questo esagramma imprevisto, che molto raramente avevo incontrato nelle mie precedenti interrogazioni.

Forse perché non era il momento, e adesso lo è. Leggendo la spiegazione della sentenza (Propizia è la perseveranza della donna) sono state diverse le suggestioni che mi hanno colto. Ho pensato alla mia famiglia di origine, ai diversi ruoli che ognuno si è scelto, al mio preoccuparmene sempre un po' troppo. Così leggendo "quando il padre è davvero padre e il figlio è figlio, quando il fratello maggiore funge veramente da fratello maggiore e il minore funge da minore, quando il marito è davvero marito e la moglie è moglie, allora nella casata regna l'ordine" ho sentito che questo esagramma mi stava dicendo qualcosa sulla relazione con loro. Allo stesso tempo, ho realizzato che certe preoccupazioni e ossessioni lavorative mi hanno distolto quest'anno dal godermi del tutto le cose belle della mia famiglia nuova (per ora siamo solo in due, ma dove c'è amore c'è famiglia, no?) e dalla voglia di progettarne il futuro.

Forse questo esagramma vuole dirmi che per me è importante anche questo spicchio della vita, per far sì che ci sia una sensazione di pienezza e soddisfazione. Effettivamente negli ultimi mesi mi ero anche chiesta come far sì che la mia vita diventi integrata e unica, non spezzata a metà tra lavoro e privato, ma armonicamente composta di entrambe le parti che nel mio mondo ideale sarebbero fluide e arricchenti l'una per l'altra: le emozioni private arricchirebbero il lavoro e viceversa. Su questo c'è ancora da lavorare, ma è un work in progress!

Volendo prendere meno alla lettera questo esagramma, Amore, Disciplina e Ordine (i tre rapporti sociali all'interno della Casata) possono essere dei punti di riferimento per me per il 2014: amore per sentire dove voglio andare, disciplina e ordine per arrivarci. Che ve ne pare?

Non è finita qui... Perchè l'esagramma aveva la seconda linea mobile. Che consiglia alla donna di non seguire capricci, ma di essere il centro sociale e spirituale della famiglia. Beh, non che avessi chissà che capricci in mente... Considerate che l'I Ching è un testo antichissimo, e le regole sociali su cui si basa sono un pochino superate :) Però andare a recuperare il mio femminile arcaico, magico, spirituale è qualcosa che avevo in mente di fare. Andare in cerca della mia Dea interiore e portarla nel quotidiano.

Infine, a causa della linea mobile, l'esagramma 37 si trasforma nel 9, La forza domatrice del Piccolo.
Che dire, pare che nemmeno il 2014 sarà l'anno degli sconvolgimenti, o forse semplicemente gli sconvolgimenti non saranno necessari per perseguire i miei sogni: dovrò contenere l'impulsività, agire in piccolo senza perdere la risolutezza interiore. "In tempi in cui una grande azione verso l'esterno non è possibile, non rimane altra via che affinare in piccolo le manifestazioni della propria natura". Insomma, a quanto pare il 2014 non sarà l'anno delle rivincite, ma un anno di lavoro e piccole gioie. In perfetto stile zen: niente fuochi d'artificio, ma molta concretezza. Non male tutto sommato!

Tra un anno vi saprò dire se ho azzeccato la lettura.

E voi, come lo sognate il vostro 2014?

venerdì 27 dicembre 2013

Un modo leggero di fare counseling: l'I Ching Counseling

Una delle qualità del counseling, a mio parere, sta nella sua possibile leggerezza. Ciò non significa che le questioni che si vadano ad affrontare siano sempre leggere, per carità. Problemi sul lavoro, problemi relazionali, insicurezze, a volte sono questioni centrali nella vita delle persone e come tali vanno prese sul serio.
Ci sono però modalità leggere di affrontare questioni importanti: una di queste, a mio parere, è l'I Ching.
Lo conoscete?

L'I Ching, o il Libro dei mutamenti, è un antichissimo libro cinese che può essere consultato come una sorta di oracolo per trovare risposta alle nostre domande. Non è da prendere alla lettera, come il bugiardino di una medicina, ma può darci degli spunti che, se ben interpretati rispetto alla nostra situazione, possono darci una mano a prendere decisioni, a sentirci più tranquille, a star meglio.

Gli oroscopi esistono da sempre, e da sempre l'uomo ha cercato di farsi aiutare dalle stelle, dagli oracoli o da varie entità soprannaturali per fare le scelte giuste. Il counseling sostiene e incentiva la piena responsabilizzazione della persona, perciò l'I Ching non è da prendere come un destino scritto nella pietra, ma come un gioco per capire meglio se stessi e la propria situazione.

Se conosci già l'I Ching e lo utilizzi tu stessa, ma a volte avresti voglia di un parere esterno su ciò che ti preoccupa... se non lo conosci ma sei curiosa di quello che potrebbe dirti un antico libro distillato di sapienza cinese... se ami gli oroscopi ma pensi che siano troppo generici e vorresti qualcosa di scritto apposta per te,

Prova l'I Ching Counseling :-)

COME FUNZIONA
Mi baso sull'edizione "I Ching - Il libro dei mutamenti", a cura di Richard Wilhelm, Adelphi.
Si utilizzano 3 monete, che si lanciano 6 volte annotando i risultati, in modo da ottenere una figura, detta esagramma. Questa figura dà delle suggestioni sul momento che si sta vivendo e su come comportarsi. Per poter riflettere adeguatamente sul responso dell'oracolo, anziché svolgere l'I Ching counseling dal vivo, ti invierò una e-mail con il responso personalizzato che potrai stampare e conservare.

DISCLAIMER
Non credo che gli oroscopi abbiano tutte le risposte, né che per prendere decisioni sia necessario rivolgersi ad un qualcosa di soprannaturale. Ma è divertente, è ispirante, è creativo, perciò facciamolo!

VUOI PROVARE?
Individua una domanda chiara e definita che vuoi porre all'oracolo e contattami via e-mail o su Facebook per saperne di più.

TESTIMONIAL
Approvato da Jung. Cosa volete di più? :-D

giulia.counseling@gmail.com
www.facebook.com/giulia.counseling

lunedì 16 dicembre 2013

Perché si rimanda e come smettere di farlo

Avevo voglia di scrivere questo post da un po' di tempo, anche perché ho visto che poteva interessarvi. Però poi mi sono messa a procrastinare. Al che ho pensato, forse se rifletto sul perché sto rimandando questo post, capirò qualcosa sul perché si rimanda, di solito.
Inizierei col dire che secondo me non ci sono regole generali: ognuno può avere un motivo diverso per cui sta rimandando qualcosa. Cercherò comunque di trovare qualche possibile linea comune.
Innanzitutto, si possono rimandare cose che vogliamo fare e cose che non vorremmo fare ma dobbiamo.
Magari c'è anche chi rimanda cose che non vuole fare e non è nemmeno costretto a fare. A questo punto la domanda è: perché anziché rimandarle non le depenni del tutto? :-)

Passiamo ora alle cose che non abbiamo voglia di fare ma dobbiamo farle! Qui lo scoglio può essere di diverso tipo: paura, se per esempio è qualcosa che ci preoccupa, qualcosa che ci risulta difficile o che temiamo in qualche modo. Solitamente la soluzione migliore in questi casi è iniziare subito. Così diminuisce l'ansia, si inizia a prendere confidenza con la questione e a maneggiarla.
Noia: magari è qualcosa che non ci preoccupa ma che non ci entusiasma nemmeno. Una soluzione potrebbe essere quella di programmare con precisione quanto tempo dedicare a questa attività e quando. Così facendo si prende una sorta di impegno con se stessi e si prende atto del fatto che avrà un suo proprio spazio, limitato. Poi però bisogna essere capaci di mantenere l'impegno :-)
Ansia: magari ci sentiamo sopraffatti da troppe cose che dobbiamo fare... talmente tante che non riusciamo a cominciare. Anche in questo caso può essere d'aiuto fare una bella lista e scegliere quando fare cosa, così ogni cosa avrà il suo spazio e noi ci sentiremo più tranquilli.

E se invece è qualcosa che ci piace e che abbiamo scelto, ma non ci decidiamo lo stesso? A volte possiamo avere paura e ansia anche in questo caso. Altrimenti, potrebbe essere un attacco di auto-boicottaggio. Anche qui però c'entra la paura, mi sa. Ad esempio, metti che faccio un corso di lingua. Metti che imparo bene questa nuova lingua. E se poi mi viene voglia di andare a lavorare all'estero? Noooo, troppa paura. E allora, invece che studiare bene studiacchio quando capita, anche se l'ho scelto e l'ho voluto io, perché così almeno non mi creo troppe nuove spaventose occasioni. Vi risuona?
Cosa fare?

Smettere di giudicarsi innanzitutto. La paura agisce indisturbata soprattutto quando la neghiamo e non ce ne prendiamo cura. Invece, possiamo provare a esplorarla un po', a starci un po' dentro e vedere cosa succede. E' davvero troppo per noi? Ok, allora possiamo fare un passo indietro. Oppure fa paura ma con un po' di aiuto ce la possiamo fare?

Probabilmente molte cose restano ancora da dire... ma ora la mia paura di non sapere cosa scrivere è parzialmente risolta, quindi potremmo darci appuntamento a una prossima puntata! Raccontatemi le vostre esperienze di procrastinazione: saranno utili per continuare a parlarne insieme, e chissà che parlandone non ci vengano delle nuove idee.

Grazie e buona settimana a tutti!

venerdì 13 dicembre 2013

Come sopravvivere al Natale?

DISCLAIMER. Se sei qui per leggere la risposta giusta alla domanda di cui sopra, sappi che non ce l'ho. Non ancora. Però in fondo alla mia sequela di lamentele c'è anche un paragrafo dedicato a te. 

Forse anche tra di voi c'è qualcuno che, come me, ha una famiglia un po' incasinata. Questo complica ulteriormente le cose quando arrivano le feste di Natale. Non solo, infatti, c'è tutto lo stress classico delle feste che tutti condividiamo (acquisto compulsivo di regali, parenti resuscitati all'improvviso, troppo cibo e tutti il resto, come splendidamente descritto qui) ma anche tutto ciò che riguarda il fatto di essere figlia di separati. Il giorno di Natale dura 24 ore, io vivo con il mio compagno in una città lontana 150 km dalla mia famiglia d'origine, città dove vivono anche i miei suoceri, mentre mio padre, mia madre e mio fratello vivono in 3 case diverse e io non ho il dono dell'ubiquità.

A ciò aggiungi che: mia madre ogni anno dice di non preoccuparmi se non riesco ad esserci a Natale, ma ho la vaga impressione che se lo facessi davvero non la prenderebbe benissimo. Mio padre sono anni che praticamente non festeggia il Natale, perciò penso che potrebbe essere ora, anche se ho il dubbio che a lui non importi granché.
La famiglia dei miei suoceri invece organizza ogni anno una maratona di pranzi e cene che sembra pensata con l'obiettivo di farci iscrivere a "Obesi - un anno per rinascere".

A me piacerebbe, una volta o l'altra, festeggiare Natale con la mia famiglia nuova, cioè il mio compagno. Non so se solo in 2 ci sentiremmo soli, ma è un desiderio che ho da un po' e che non ho ancora soddisfatto. Inoltre vorrei che le tanto attese vacanze siano un momento di relax, un tempo di riflessione, una pausa curativa, non un massacro ai miei nervi.

Insomma: ci sono i desideri miei e quelli altrui che vanno in conflitto e, quand'è così, qualsiasi scelta sembra sbagliata. Penso che stasera mi toccherà tirare fuori l'argomento e cercare, perlomeno, di prendere una decisione di coppia che vada bene ad entrambi. Sarebbe già tantissimo :-)

Per te che leggi: se quando arriva Natale invece che sentire la frenesia dolce delle feste ti chiedi perché caspita la tua non è una famiglia normale, se invece dei lacrimoni di commozione ti escono più spesso quelli di rabbia, se ti capita di sentire più dispiacere del solito per tutto ciò che non ha funzionato e sogni di svegliarti un giorno nella tua famiglia ideale per festeggiare finalmente come si deve, ho due cose da dirti.

1.NON SEI SOLA.
2.NEMMENO GLI ALTRI HANNO UNA FAMIGLIA IDEALE.

Perciò... accetta la realtà quanto puoi, prenditi cura di te e di chi ami, dì qualche NO quando è possibile senza scatenare faide famigliari, e ricordati che tra 2 settimane o quasi sarà tutto finito... tranne gli avanzi :-)

giovedì 12 dicembre 2013

Capire quando è ora di smettere: sfrondare

Credo di avere una doppia personalità, ma ci vorrebbe una diagnosi per saperlo. Comunque il fatto è che in me convivono due lati diversi e quasi opposti, e a volte è faticoso riuscire ad accontentarli entrambi. Anche perché mentre uno dei due lati piace anche agli altri, l'altro è quello meno amato, più rompiscatole, meno compiacente. Però, se non mi inganno, sto iniziando a voler bene anche a questa mia parte meno piacevole, ed è certamente un bene.

Il primo lato è quello curioso, vivace, che ha voglia di ridere, di fare cose nuove, di provare tutti i corsi interessanti che le vengono in mente, di sentire la musica, di mettersi in gioco, di uscire la sera e divertirsi.
L'altro lato è quello timido, che si stanca facilmente quando sta troppo con gli altri, che ama stare sul divano con una tisana e un libro, che ha bisogno di una quantità minima di solitudine per non impazzire, che si vergogna di mille cose e ogni tanto ha bisogno di qualcuno che se ne prenda cura.

Così alterno momenti in cui inizio mille cose e sono iper-creativa a momenti in cui mi ritrovo a dover togliere qualcosa dalla lista perché mi sento soffocare dagli impegni, e poi va a finire che mi sento in colpissima perché uno dei miei introietti è "quando si prende un impegno bisogna portarlo a termine!".

Avrei potuto capirlo prima, ma meglio tardi che mai, che non devo pretendere che siano gli altri ad accorgersi di quando inizio ad annaspare, perché gli altri non sanno quando per me è ora di riposare: sono io che lo so e io che devo prendermi cura di questi bisogni

Ho pensato che magari poteva essere utile anche a voi ciò che ho scoperto su come riconoscere quando qualcosa sta diventando "troppo" per te:
  • sei veramente stanca e inizi a sentirti inaridita
  • quello che era un piacere si sta trasformando in un dovere
  • ti accorgi che cerchi delle scuse per sentirti in diritto di non farlo
  • arrivi al punto di farti male fisicamente per sentirti in diritto di non farlo (giusto stamattina mi sono azzoppata contro lo spigolo del letto e ho ancora il ginocchio gonfio)
  • brami segretamente una serata passata davanti alla TV o qualche altro passatempo passivo
  • non hai più abbastanza energia per qualcosa che per te è importante - ad esempio, la vita sentimentale... 
Siccome sono sempre stata una timida e un po' pigrotta, e ho sempre pensato che fossero entrambi due grossi difetti, una volta mi spronavo a fare le cose ad ogni costo, oppure non riuscivo a scegliere a cosa rinunciare perché qualsiasi rinuncia mi sembrava un'ammissione di fallimento.
Una delle mie fortune è quella di avere un compagno timido e un po' pigrotto pure lui, che capisce questo mio lato e lo asseconda... così diventa più facile. Ma anche se chi vi circonda non vi capisce, l'importante è che vi capiate voi.

Quindi, se anche tu vorresti tanto dire di no a qualcosa che in questo momento riempie la tua vita, qualcosa che magari hai scelto ma che sta diventando troppo ingombrante per te, la novità è questa:

HAI TUTTO IL DIRITTO DI FARLO
:-)

Non siamo qui a fare la gara alla migliore performance, né a darci i voti di fine anno. Non siamo qui a fare la gara di Miss Coerenza. Si possono iniziare cose e lasciarle a metà. Si possono provare cose e scoprire che non sono per noi e lasciarle perdere. Tu sai quanto tempo ti serve e non è scritto da nessuna parte che debba essere uguale al tempo che serve agli altri. Non hai bisogno dell'autorizzazione di nessuno per decidere cosa è giusto per te. Puoi prendere del tempo per non fare nulla. Anzi, è indispensabile che tu crei del vuoto, per avere qualcosa da riempire. 

Prenditi cura di te, riposa, ricaricati.
Poi ne riparliamo.

lunedì 2 dicembre 2013

Trovare la propria strada

Quando, a venticinque anni, sono uscita dall'Università, non avevo la più pallida idea di quello che volevo fare nella vita. Diciamo che un corso di laurea come il Dams non aiuta troppissimo a chiarirsi le idee... ma non era solo quello. Non mi sentivo né abbastanza dotata per fare l'artista, né abbastanza sgamata per fare carriera da qualche parte.

Aggiungici che era un periodo abbastanza incasinato: mio padre se n'era appena andato di casa, mia madre era in piena crisi depressiva pre-divorzio, io e mio fratello eravamo più o meno sconvolti e spaventati e confusi. Così ho preso al volo l'occasione del primo stage che mi si è presentato davanti pur di non dover tornare a casa dai miei. Facevo soprattutto telefonate.

Essere circondata da semi-sconosciuti in quel periodo non mi andava, e così ho mollato la casa in condivisione e mi sono cercata un monolocale. Insomma, 'na tristezza.

Ma la cosa più triste era che non avevo idea di quello che volevo fare di me. Mi facevo delle camminate a piedi tornando a casa alla sera - perché non avevo nemmeno l'abbonamento del tram! - e nelle sere invernali guardavo questa luna enorme nel cielo nero chiedendomi: ma che caspita ci sto a fare qua? Ma dove caspita voglio andare? Non lo sapevo. E non saperlo è sempre stata una cosa dolorosissima per me, che sono affamata di senso più che di ogni cosa.
Ecco, tutto questo preambolo per dire che...

TA DAAAAN!

Adesso lo so! So dove voglio andare.
Ed è una sensazione fighissima, anche perché non vuole essere una strada da fare in solitaria, ma un cammino da condividere :-)

Lo scrivo qua, così non mi perdo per strada. E' chiaro che voglio diventare counselor, l'ho scritto nel titolo del blog. Ma che tipo di counselor? C'è chi si specializza nel lavoro con gli adolescenti, chi diventa esperto di counseling aziendale, chi lavora soprattutto nel settore sanitario.
Ecco, io mi sentivo un po' un pesce fuor d'acqua perché continuavo a pensarci ma mi sembrava di non trovare il mio posto. E invece adesso mi è chiaro.

Io voglio lavorare con tutti quelli che si sentono sbagliati, che fanno fatica a voler bene a se stessi, che a volte si sentono soli e smarriti e falliti e non sanno dove andare a trovare la forza di ripartire. Voglio lavorare con chi si sente diverso dagli altri, con chi qualche volta è stato emarginato, umiliato, messo da parte, offeso. Voglio lavorare con chi non è riuscito ad essere visto nella sua vera essenza dalle persone intorno a lui perché non è riuscito a tirarla fuori o forse perché gli altri non gli hanno dato abbastanza attenzione. Voglio lavorare con chi si è dimenticato della propria bellezza per aiutarlo a vederla, e imparare a tirarla fuori.

So come si fa, perché l'ho fatto con me stessa.

Quindi, se ti sei riconosciuto nelle mie parole, sappi che non sei solo. Io ti vedo. E sei bellissimo. 

sabato 23 novembre 2013

Esercizi quotidiani di amore per se stessi

In questo ultimo periodo mi sono ritrovata a riflettere su quanto è importante voler bene a se stessi. A volte, quando ci si sente soli e abbandonati, quando si ha la sensazione di essere un fallimento completo, quando ci arrabbiamo con il mondo perché non é dalla nostra parte, forse siamo noi i primi ad esserci dimenticati di noi stessi. Ma allora come fare a volersi un po' più di bene? Ognuno dovrà trovare il suo modo, ma ho pensato di darvi qualche spunto tratto dalla mia esperienza personale.
  1. Identifica "la stronza" dentro di te. Scusate la parolaccia, ma io la mia parte negativa, giudicante, criticona e svalutante la chiamo proprio così: La Stronza. Hai presente quella vocina che qualunque cosa tu faccia parte con i suoi commenti acidi tipo: sei totalmente inadeguata, non ce la farai mai, sei troppo grassa, sei troppo timida, ecc...? Io la conosco molto bene... Ecco: identificala, magari dalle anche un nomignolo, e poi impara a riconoscerla quando parte all'attacco. Non smetterà di criticare, almeno non subito, ma poco a poco potrai scegliere tu quanto valore dare alle sue critiche... E magari decidere di fregartene, qualche volta.
  2. Onora la tua fragilità. Forse non ci hai mai pensato, ma anche le persone che sembrano sempre perfette hanno la loro fragilità. E non è una cosa brutta di cui vergognarsi, ma anzi, è ciò che ci rende esseri umani. Quando qualcosa ci tocca, ci ferisce, ci rivela nella nostra fragilità, rivela anche la parte più autentica di noi. Rispettare le proprie parti "fragili" e dare loro posto nella nostra vita ci permette non solo di essere più complete, ma anche di accogliere la fragilità degli altri. Smetti di fare wonder woman... e vedrai che anche gli altri si sentiranno più a loro agio con le loro imperfezioni.
  3. Trattati bene. Sei di quelle che se sono da sole non cucinano e mangiano uno yogurt magro davanti alla tv? Ci credo che poi ti si inacidiscono i pensieri! Nutriti con cibo buono e sano, concediti il riposo che ti serve, impara a riconoscere quando vuoi compagnia e quando vuoi stare da sola... E fallo.
  4. Ricordati che sei unica. Nessun altro avrà mai la tua stessa risata, la tua stessa dolcezza o la tua stessa grinta. Riconosci la tua bellezza e regalala al mondo e a te stessa.
  5. Circondati di persone che ti fanno stare bene, evita quelli che ti fanno sentire insicura, inadeguata, troppo grassa, troppo magra, ecc.
  6. Quando puoi, fai cose che ti piacciono! Sembra assurdo ma per un sacco di tempo io ho fatto cose a caso, oppure non facevo niente, perché non sapevo cosa mi piaceva. Come scoprire quello che ti piace? Se un'idea ti stuzzica, prova! E mentre lo fai, ascolta cosa succede nel corpo: riesci a respirare bene? Sei rilassata o tesa? Senti calore o freddo? La tua pancia è morbida o contratta? 
  7. Sappi che volersi bene non è come fare un compito, che quando lo finisci sei a posto! È un esercizio quotidiano e ci vuole tantissima pazienza.
Buon viaggio :)

martedì 19 novembre 2013

10 Motivi per cui ho scelto di diventare Counselor

Li scrivo qui, così non corro il rischio di dimenticarmeli :-P
Ce ne sono anche altri, ma questi sono i primi 10 che mi sono venuti in mente.

  1. Per fare un lavoro che sia utile, in cui credo: dà senso alla mia vita.
  2. Per fare un lavoro in cui sentirmi a mio agio, competente: perché mi sono preparata apposta per questo e perché mi ci sento portata.
  3. Per poter continuare a studiare tutta la vita!
  4. Perché adoro ascoltare le storie.
  5. Perché credo nell'innata bellezza dell'essere umano.
  6. Perché considero le emozioni la cosa più preziosa che abbiamo.
  7. Perché voglio mettere insieme i pezzi della mia vita e renderla completa, anziché tenere separati lavoro/vita privata/interessi.
  8. Perché voglio cambiare il mondo una persona alla volta (poco ambiziosa, neh!).
  9. Perché a un ufficio grigio preferisco uno studio colorato.
  10. Perché voglio trasformare le mie ferite in risorse per me e per gli altri.

lunedì 28 ottobre 2013

La donna Selvaggia è stanca

Dopo un periodo di creatività, ottimismo e sensazioni positive, in cui le idee sembravano affiorare magicamente e quasi senza sforzo, mi sono ritrovata catapultata in una fase di secca. Le idee si disperdono, non riesco a mettere a fuoco i dettagli, mi ritrovo confusa e stanca, assetata e sterile.
Ieri sera riprendo in mano il libro di "Donne che corrono coi lupi" che avevo abbandonato a metà qualche mese fa. A volte sembra proprio che il caso non esista. Il capitolo da cui dovevo ripartire infatti, parlava proprio di questo: di come a volte, anche quando si è convinte del proprio percorso, anche quando si è già in qualche modo partite nella propria vita creativa, capita che si perda il focus. Ci si disperde in troppe attività e non si riesce a completarne nemmeno una, ci si auto-critica fino allo sfinimento, ci si deprime nell'incapacità di agire.
E spesso, come reazione a tutto questo, mi costringo ad agire lo stesso, anziché fermarmi un attimo. Ora però so quello che devo fare.

La donna la cui idea o le cui energie sono svanite deve conoscere la strada per andare dalla vecchia curandera. Deve riposare, dondolarsi, ritrovare il suo fuoco. Deve ringiovanire, recuperare l'energia.
Il portare a termine lunghe fatiche, come terminare la scuola, o un'opera, o curare un malato, fa sì che a un certo momento l'energia un tempo giovane invecchi. E' meglio per le donne capirlo all'inizio di uno sforzo, perché la fatica le sorprende. La presunzione della forza eterna al maschile è un errore.
Nella storia tre capelli vengono gettati a terra. I capelli sono il simbolo del pensiero, gettarne via qualcuno rende il bambino più leggero, lo fa brillare di una luce più vivida. Strappate tre capelli dalla vostra idea e gettateli a terra. Tagliare i rami secchi aiuta l'albero a crescere più forte.
Se avete perduto il fuoco, la concentrazione, sedete e state quiete. Prendete l'idea e cullatela. Tenetela in parte, e in parte buttatela, si rinnoverà.


(tratto da: http://www.inventati.org/donnola/materiali/donnolabook/3capellidoro.html)

mercoledì 2 ottobre 2013

Gratitudine

La gratitudine è un'emozione che non provo molto spesso, perché sono troppo occupata a concentrarmi su pensieri pessimisti...
Ma oggi, l'ho proprio sentita chiara e forte.
Pensavo alle belle persone che ho incontrato o conosciuto meglio in questo 2013, alle cose a cui poco a poco ho il coraggio di avvicinarmi.
Ho la sensazione che la mia vita si stia arricchendo.
Ovviamente non di soldi, ma di calore, di idee, di autenticità.
Se penso a tutta la strada che ho fatto, per arrivare ad essere la donna che oggi ringrazia di queste cose belle, mi faccio tenerezza e son contenta di me.
Questo mio lato profondo e luminoso sta prendendo il suo spazio, accanto a quello lunatico e mentale che ha sempre teso a prevalere.
E niente, per me è una cosa bella.

martedì 1 ottobre 2013

Scoprirsi fa paura

In questo periodo sto riflettendo su quello che credo sia uno degli scogli maggiori che dovrò affrontare nel mio percorso verso il lavoro di counselor: la paura.
Paura non delle emozioni del cliente, degli sbagli, dell'insuccesso. Sono tutte paure che ho anche queste, ma sono relative, non enormi: le so contenere.
Invece, mi accorgo che sono spaventata dalla paura di espormi. Se scelgo di fare un mestiere che coinvolge me stessa in modo autentico, che mi impone di essere me stessa e di uscire nel mondo senza maschere... aiuto!
Finché resto dietro il mio pc a lamentarmi di fare un lavoro che non mi piace, a parlare poco e soprattutto dire poco di me... magari mi annoio, mi deprimo, ma sono qui al sicuro nel mio cantuccio.

Invece, cavolo. Uscire nel mondo, dire: io sono questa. Farmi pubblicità con le mie parole, non quelle di qualcun altro. Fare sbagli tutti miei, senza poter dire che è colpa di qualcun altro. Magari pubblicare pensieri come questi su un blog pubblico, con nome e cognome. Farmi pubblicità. Mettere le mie foto. Espormi a critiche, giudizi, ma anche eventualmente a complimenti e buoni feedback.

Mi accorgo con stupore - eppure l'ho sempre saputo, l'ho sempre pensato, ma ora lo SENTO, che è diverso - che sono io il primo giudice censore di me stessa.
Quando mi viene in mente qualcosa e non lo dico. Quando ho un'idea e la giudico insufficiente prima di darmi il tempo di lavorarci su. Quando vorrei chiedere aiuto e mi vergogno. Quando penso che comunque gli altri sono migliori di me. Quando penso che gli altri ce la possono fare, io no. Quando penso che l'unico modo per non soffrire è nascondermi.

E allora, mi esercito ad espormi gradualmente. Mandare un messaggio a persone che seguo on-line per esprimere apprezzamento al loro lavoro. Iscrivermi a seminari con persone sconosciute. Confessare ai miei colleghi che sì, mi sono iscritta a un corso di danza del ventre.

Ho la sensazione che quando mi deciderò a liberare tutta questa energia, ci sarà un'esplosione.

Definire il counseling

Gabriella Costa, del blog RI-TROVARSI, lo descrive così:
"Il counseling è una disciplina di aiuto professionale nel disagio esistenziale. Disagio esistenziale è tutto ciò che ha a che fare con la psiche ma non presenta risvolti patologici, per i quali - invece - è necessario l'intervento dello psicoterapeuta o dello psichiatra."

Paola Bonavolontà, di Counseling is Good for You ne parla in questi termini:
"Il counseling si basa sull’ originaria intuizione rogersiana secondo la quale, se una persona si trova in difficoltà, il miglior modo di venirle in aiuto non è quello di dire cosa fare quanto piuttosto quella di aiutarla a comprendere la sua situazione e a gestire il problema assumendo da sola e pienamente le responsabilità delle scelte eventuali.
Il processo di counseling enfatizza l’importanza dell’autodeterminazione, dell’autocontrollo: il risultato finale è misurabile attraverso “il grado in cui si riesce a rendere una persona capace di azioni razionali e positive, a renderla più soddisfatta, più in pace con se stessa, più capace di condurre una vita serena e socialmente integrata”.

Francesco, di Counseling e Dintorni, scrive:
"Il counselor è... uno che ti aiuta "a ritrovare il filo".
Quando stai vivendo un momento ingarbugliato e hai bisogno di rimettere le cose a posto, un counselor, attraverso l'ascolto attivo e specifiche tecniche di colloquio, ti sostiene nel ritrovare le tue energie interiori per ripartire."

Io, mi chiedo, come lo descriverei? Come trovare le parole giuste per dire cos'è il counseling per me?

Il counseling è... una professione che si basa su competenze comunicative, relazionali ed emotive per aiutare il cliente a stare meglio con se stesso e con gli altri.
Il counseling è... un modo di stare con la persona per consentirle di esplorare quello che sente e quello che pensa in un modo nuovo.

E per voi, cos'è il counseling?


mercoledì 25 settembre 2013

Come si sceglie? Come si dovrebbe scegliere?

Una delle cose che mi piace del counseling è la sua vicinanza alla filosofia.
Spesso la filosofia complica un po' le cose, perché introduce la questione etica. Tra quello che vogliamo fare e la sua realizzazione non c'è solo l'azione di mezzo, ma anche l'etica, se scegliamo di prenderla in considerazione.
Questo bell'articolo di Agnes Heller spiega bene la faccenda.

venerdì 13 settembre 2013

Il panico quotidiano

Ho letto un libro, al rientro delle vacanze.
L'ho comprato per caso girovagando tra gli scaffali di una libreria, mentre dicevo a me stessa che da troppo tempo leggevo solo libri di counseling e nessun romanzo.
Però, non ho scelto un romanzo qualsiasi. Ho scelto un romanzo che racconta senza troppo pudore una storia quasi autobiografica di attacchi di panico. L'ho letto in 2 giorni scorrendo veloce le parole dal ritmo incalzante e la sua atmosfera mi si è appiccicata addosso, inchiodandomi.

Impossibile, quando hai qualche insoddisfazione ricacciata in gola e qualche delusione che fingi di dimenticare, continuare a fare finta di niente dopo questo libro.
E' un libro che ti costringe a guardarti in faccia e fare i conti, anche se non ti è successo nulla di paragonabile al dramma vissuto dall'autore.
E così riparto, con questo senso di realtà addosso, cercando di non farmi prendere dall'amarezza e dal cinismo, pensando che voglio essere sempre più fedele a me stessa, stare sveglia, attenta, per portarmi dove devo andare.

Mi sarebbe piaciuto poter contattare l'autore, ma pare che il suo blog non sia più aperto a tutti.
D'altra parte non avrei saputo cosa dirgli, forse un timido grazie.

Buon settembre!

martedì 13 agosto 2013

Let your body decide where you want to go

Dopo la mappazza del post precedente, vi lascio un po' di musica per arricrearvi... ma leggete anche le parole!


Words 
come to me so easily 
They make me forget what I mean 
They seem so very unsound 
when I don't want them around 

Let your body decide where you want to go 

Let your body decide where you want to go 
high or low, fast or slow 
x4 

I don't know if I'm ready 
but everything must be unsteady 
on the first go-round 

Thoughts 
Is it right to feel this way? 
Will I be happy one day? 
Is my posture okay? 
Am I straight or gay? 

Let your body decide where you want to go 

Let your body decide where you want to go 
high or low, fast or slow 
x4 

I don't know if I'm ready 
but everything must be unsteady 
on the first go-round 

First go-round x6 

lunedì 12 agosto 2013

Big Girl (You Are Beautiful)


Walks in to the room
Feels like a big balloon
I said, 'Hey girls you are beautiful'
Diet coke and a pizza please
Diet coke I'm on my knees
Screaming 'Big girl you are beautiful'

You take your skinny girls
Feel like I'm gonna die
'Cause a real woman
Needs a real man here's why

You take your girl
And multiply her by four
Now a whole lot of woman
Needs a whole lot more

Get yourself to the Butterfly Lounge
Find yourself a big lady
Big boy come on around
And they'll be calling you baby

No need to fantasize
Since I was in my braces
A watering hole
With the girls around
And curves in all the right places

Big girls you are beautiful
Big girls you are beautiful
Big girls you are beautiful
Big girls you are beautiful

giovedì 8 agosto 2013

Ma era una battuta!

Siccome che rileggendo gli ultimi post colgo un grado di banalità pessimistiche alla Fabio Volo, ho deciso di provare a buttar giù qualche pensierino un po' meno de panza. Una delle cose che mi è venuta in mente ultimamente è che o sono io ipersensibile - e ci potrebbe anche stare - o la gente ha iniziato a insultarsi in modo molto più esplicito, salvo poi buttarla sull'ironia prima di sfociare in conflitto.

Sempre più spesso, forse a causa dell'amplificazione delle chiacchierate dovuta ai Social Network, mi capita di sentire/leggere persone che, dopo aver insultato/deriso/offeso qualcuno reagiscono sorpresi e quasi offesi a loro volta, dicendo "ma era una battuta!". Come se il fatto di restarci male fosse un problema sciocco di chi ha poco senso dell'umorismo.

Ok, io sono ipersensibile. Nel senso che ho passato talmente tanti anni a farmi prendere per il culo senza riuscire a difendermi che ora mi schiero a priori a difesa di chiunque subisca una battutina appena poco più che acida. Ma ho cercato di filtrare questa cosa mia e osservare meglio.

La mia sensazione è che si stia perdendo il senso della misura. Che ci si sente liberi di dire qualsiasi cosa e si cade dal pero quando l'altro dà segno di essersela presa. Battute maschiliste orride e commenti sull'aspetto fisico sono quelle che mi capitano più spesso - che gioia! - ma ce ne sono di ogni varietà.
E immancabilmente, dopo: "Mamma mia, come sei permalosa!".

Mi chiedo: sarà che i Social Network e i reality show ci hanno abituati a sparare a zero su tutto e tutti da lontano, prendendoci la libertà dell'insulto senza doverci far carico della reazione altrui?

Sarà il Silvio style, che ha sdoganato un certo tipo di arroganza paracula che butta il sasso e toglie la mano prima che gliela mozzino?

Sarà che quest'era di azioni/reazioni immediate ci fa parlare senza darci il tempo di filtrare i pensieri?

Sarà che siamo sempre così disconnessi da noi stessi che non "sentiamo" più nulla, men che meno il dolore che infliggiamo agli altri?

La riflessione è aperta. Se mi faccio una mia idea poi ve la dico.

Su insoddisfazione, inconcludenza, e tanto altro

Volevo aggiungere un discorso un po' più circostanziato sulle mie insoddisfazioni, un po' per chiarirle a chi legge, se qualcuno legge, un po' per chiarirle a me stessa. In questo periodo in cui un sacco di gente fa fatica a campare io sono senza dubbio fortunata, visto che quest'anno mi concedo persino le vacanze. E insomma, in questo contesto generale, osare lamentarsi di ciò che si fa per campare genera di solito un'ondata di proteste: "ma di che ti lamenti, ma non vedi che sei fortunata?". E quindi, siccome solitamente cerco di contenermi per non sembrare una viziata ingrata, provo a sfogarmi qui.
Volevo dire qualcosa sul percorso che mi ha portata, ad oggi, ad un lavoro a tempo indeterminato che anziché farmi fare salti di gioia carpiati mi genera non poche frustrazioni.
Sono una di quelle che da piccola manifestava una modesta inclinazione per le cose artistiche: mi piaceva disegnare, mi incuriosiva la musica e leggevo per la maggior parte delle mie ore di veglia. Avrei, quindi, voluto fare il liceo artistico, ma pare che all'epoca venissi sconsigliata fortemente da una prof, con la motivazione che poi non avrei trovato nulla da fare. I miei genitori, che senza accorgersene proiettavano su di me i rispettivi desideri frustrati, non furono di grande aiuto. Fu così che non feci l'artistico, ma un liceo più "normale" che ebbe il risultato di farmi passare ogni voglia di studiare, da tanto che mi avevano ingozzata di nozioni. Dopo la maturità non avevo idea di cosa fare. Penso sempre più spesso che avrei dovuto prendermi del tempo e aspettare che mi si chiarissero le idee, e invece non ne ebbi il coraggio. Cercai qualcosa che fosse moderno e creativo, che mi incuriosisse senza darmi l'impressione della disoccupazione eterna. C'è da dire che, per fortuna, in effetti ho sempre lavorato. E per diverso tempo sono anche riuscita a fare un lavoro che per un po' mi era sembrato quello ideale: sottopagato e contrattualmente pessimo, ma mi divertivo, potevo creare il mio con discreta libertà, imparavo moltissimo a contatto con gente in gamba e avevo dei colleghi simpatici.
Per un po' ho davvero pensato: "non mi muoverò da qui". Poi... Le cose sono andate in un modo che non mi aspettavo. E insomma, è finita che da là me ne sono andata con l'amaro in bocca. Me ne sono andata con in mano un'alternativa che mi sembrava l'ideale per tirare avanti 6 mesi cercando altro. E invece da 6 mesi è diventato 1 anno, poi 2.
Nel frattempo imparavo a scoprire delle cose su di me: tipo che il vuoto grande che mi sentivo dentro la maggior parte del tempo non era un difetto da ignorare, e soprattutto che non l'avrei potuto riempire solo pensandoci fino a spremermi il cervello. Scoprivo che dovevo imparare a sentire. Che a 25 anni non sapevo chi ero perché nessuno mi aveva insegnato ad ascoltare cosa mi passava dentro e nel corpo, e anzi per una serie di ragioni avevo fatto di tutto per non sentire tante cose. E così provavo, facevo esperimenti, mi divertivo, mi emozionavo, mi arrabbiavo. Stavo anche da cani, molte volte.
Perché certe volte pare che il vuoto sia come una marea nera che ti affoga e quand'è così non c'è granché da farci - almeno, io finora non ho trovato granché da farci - se non tenere duro, aggrapparsi alle cose quotidiane, anche se sembrano assurde e risuonano stonate come un quadro surrealista, tenersi forte aspettando la prossima seduta... e poi un giorno ti svegli ed è passata.
Ti svegli e sembra che il mondo sia tornato normale, che la speranza esista di nuovo, che forse-forse c'è anche della bellezza. E si riparte.
E così, in questo mio ondeggiare come un pendolo tra sogni e realtà, tra umane disperazioni e serenità, mi trovo al punto in cui devo decidere se continuare a fare la ragazza di belle speranze che non prende nessuna strada per avere ancora l'illusione di poterle scegliere tutte, o se diventare grande, prendere decisioni, tentare, sbagliare, ma sbagliare dicendo: "questa sono io, cazzo".

venerdì 5 luglio 2013

La bellezza ci salverà

La cosa che mi piace di più del counseling è la possibilità di vedere la bellezza. 
Vedere la bellezza del cliente e farla vedere anche a lui, e imparare insieme a vivere gustandosi la bellezza del mondo.
E quindi non credo sia fuori tema se ogni tanto pubblico qualcosa di bello.

giovedì 27 giugno 2013

Timidezza, Introversione: che fare?

Confesso, sono una timida. Da sempre. Da quando riesco a ricordare. Da bambina guardavo mio fratello che faceva facilmente nuove amicizie, che giocava con gli altri senza vergogna, che a volte faceva troppo rumore. Io ero silenziosa, composta già da piccolissima, pensierosa. La cosa si è intensificata anziché diminuire con l'ingresso alla scuola elementare, l'impatto con il mondo esterno non fu facile per me. E così poi ho dovuto fare un lento, lungo lavoro di adattamento per recuperare l'autostima necessaria a sentirmi in diritto di esprimermi con gli altri, anche nella mia differenza, anche se gli altri possono non approvare, e soprattutto sentire il piacere e la gioia di confrontarmi e condividere.
Insomma: a volte gli altri mi fanno un po' paura, soprattutto quando sono tanti e sconosciuti. E questa è la timidezza. Per combatterla ho fatto teatro (e mi è venuto anche bene), ho fatto finta di essere spavalda (questo funzionava di meno), mi sono imposta di nasconderla e l'ho odiata tanto.

E poi c'è l'introversione. L'introversione è quel tratto del carattere che fa sì che, anche se stare con gli altri mi piace, mi piace conoscere persone nuove e fare amicizia, dopo un po' ho bisogno di starmene un po' da sola a "recuperare". Preferisco leggere, dedicarmi ad attività tranquille e incontrare pochi amici per volta che andare a feste piene di gente e confusione, e faccio fatica a improvvisare chiacchiere con chi non conosco e magari non mi interessa nemmeno.
Si potrebbe dire che l'introversione è quel lato del carattere, probabilmente innato, che fa sì che si sia più portati a rivolgersi dentro di sé piuttosto che fuori. La timidezza invece mi sembra più una caratteristica acquisita, una qualche paura di esporsi, di non valere abbastanza, di essere rifiutati. Capita che chi è introverso diventi anche timido anche perché l'introversione viene spesso giudicata negativamente e non capita, in un mondo che esalta le caratteristiche tipiche degli estroversi.

Quanto è concesso a un bambino introverso oggi di sentirsi ok?
Molto poco a mio parere.
E anche un adulto timido avrà vita difficile. In un mondo del lavoro dominato da spavalderia e loquacità, quando non si tratta di arroganza e volgarità, una persona timida e introversa farà fatica a vedersi riconosciute le proprie qualità. Anche internet è piena zeppa di articoli di coach e opinionisti vari, secondo cui la timidezza è un difetto limitante di cui liberarsi in fretta, per poter finalmente far carriera, conquistare qualsiasi donna, diventare un leader tra gli amici. Ogni volta che leggo uno di questi articoli, però, mi viene il nervoso. Per vari motivi, che ora cercherò di spiegare. Spesso infatti, si presume che la timidezza sia una debolezza si debba combattere con la forza di volontà. Si dà per scontato che la timidezza sia come una sorta di "pigrizia" sociale per cui imponendosi sempre più spesso di fare cose che lo mettono a disagio, il timido imparerà ad esserlo di meno. Può darsi. Ma non sono affatto sicura che spingere il timido a odiare questo suo lato sia utile per lui. Penso che esistano modi migliori di promuovere l'integrazione del timido nel tessuto sociale, tenendo sempre conto di quello che lui desidera e quelli che sono i suoi limiti. Ma soprattutto, siamo sicuri che sia tanto brutto essere timidi e introversi?

Nella scuola che frequento, si utilizza un questionario (non diagnostico, per carità) che permette di attribuire alle persone l'appartenenza più o meno netta a 7 idealtipi umani. Ovviamente si tratta di macrocategorie tagliate con l'accetta a cui nessuno appartiene al 100%, si deve tenere presente la ricchezza di sfumature di ognuno e ricordarsi che è solo uno strumento iniziale da discutere e verificare insieme al counselor per valutare quanto ci si senta rappresentati. Però permette di farsi un'idea iniziale di quali possono essere i propri punti di forza e le proprie difficoltà.
L'idealtipo che rappresenta le caratteristiche di timidezza e introversione, oltre a molte altre tra cui la sensibilità, prende il nome di "Invisibile". Una parola un po' estrema forse, ma che rende l'idea, visto che quando ci si sente timidi a volte si cerca di scomparire... Ogni idealtipo però, comprende sia caratteristiche considerate tipicamente "positive" (forse meglio dire funzionali) che "negative" (forse meglio dire non funzionali). Chi ha avuto un amico introverso sa quanto possa essere fine la sua sensibilità, calda la sua empatia, ricca la sua immaginazione.

E così quando mi è capitato fra le mani questo libro, l'ho letto tutto d'un fiato e l'ho trovato geniale.
Susan Cain sostiene infatti che il mondo abbia bisogno anche degli introversi (più o meno timidi) e che se fossimo tutti estroversi mancherebbe qualcosa di fondamentale all'umanità. Non posso che dichiararmi d'accordo. Susan Cain sostiene addirittura che i leader introversi spesso conducono meglio le aziende, perché fanno scelte più meditate e meno rischiose, e pensano di più al bene dell'azienda che a quello della propria immagine. Inoltre, non credo di essere l'unica persona al mondo che fatica a sopportare i logorroici, gli arroganti, quelli che devono sempre fare i simpatici per forza, tutte caratteristiche tipiche degli estroversi.

Per questo penso che sia giunto il momento di insegnare a timidi e introversi ad apprezzare la loro personalità, a smettere di sentirsi in difetto e a sostenersi nei propri bisogni: non c'è niente di male a voler passare le serate a casa con l'amica del cuore anziché andare a ballare in discoteca, a preferire le attività solitarie anziché i lavori di gruppo. Non c'è nemmeno niente di male ad essere impopolari, anche se fa soffrire.
Mi piacerebbe un giorno, come counselor, lavorare con le persone timide e introverse che vogliano valorizzare i lati più profondi e ricchi del loro carattere e imparare ad apprezzarsi per ciò che sono anziché provare con tutte le loro forze a diventare qualcun altro.

lunedì 24 giugno 2013

lunedì 17 giugno 2013

Autostima, immagine corporea, prova costume...

Uno dei temi che mi interessano di più, visto che anche io mi trovo a doverci fare i conti, è quello del corpo: come ci stiamo dentro? Comode o strette? Come lo viviamo? Come ci vediamo? Ci piacciamo, ci riconosciamo nel corpo, oppure è qualcosa di estraneo contro cui lottare?
Tema complesso e difficile.
Dopo tanto lavoro di auto-consapevolezza posso dire che oggi sicuramente lo vivo meglio di un tempo. Ma non posso sicuramente dire di aver messo un punto a questa questione! Basta poco per riattivare insicurezze e ferite che sembravano momentaneamente sopite.
E in un attimo mi sento di nuovo troppo ingombrante, troppo evidente, troppo grassa. Vorrei tornare esile e piccola come da bambina, senza le forme di donna. Sicuramente i motivi per cui ognuna di noi non si piace sono diversi e molteplici. Non sono d'accordo con chi dà tutte le responsabilità al mondo della moda: non basterebbero le bellissime modelle taglia 38 a scalfire la sicurezza di una normalissima donna che si ama e si piace. Ci sono sicuramente altre problematiche, e in certi casi probabilmente è necessaria una psicoterapia per affrontarle.
C'è qualcosa allora che un counselor può fare? Sicuramente sì, ed è forse in parte quello che io faccio con me stessa. Il counselor può sostenere la cliente a:

  • Cercare dei modelli alternativi a quelli ovunque diffusi dai media: arricchire l'immaginario di tanti tipi di donne diverse ci dà la possibilità di scegliere i nostri preferiti anziché sentirci costrette ad adeguarci al modello unico.
  • Imparare a sentire il corpo in modo diverso: anziché continuare a guardarsi e giudicarsi, chiudere gli occhi e scoprire cosa vuol dire "sentirsi". Ok, non ti piace la tua pancia, ma quella pancia che a vedersi ti dà fastidio, come la senti? E' morbida? E' contratta? Si muove come un'onda respirando o è rigida e bloccata? Imparare a sentire il corpo da dentro per me è stato forse il cambiamento più importante degli ultimi anni. Mi ha permesso di riscoprire letteralmente il corpo, e di sentire il piacere di essere viva dentro questo corpo, indipendentemente dalla sua forma. Come realizzare tutto ciò: ognuno può cercare il metodo più funzionale: yoga, meditazione, massaggio, sport... qualsiasi cosa possa funzionare per te!
  • Sperimentare look e stili diversi: forse non ci piacciamo perché non ci piace più l'immagine che trasmettiamo tramite l'abbigliamento. Solitamente è un circolo vizioso: non ci piacciamo, allora non ci curiamo, allora ci piacciamo ancora meno... A volte bisogna imparare a volersi bene abbastanza per concedere a se stessi le cure che ci meritiamo. Però qualche volta può anche funzionare il processo inverso, un po' come fare teatro: mi trucco e mi abbiglio come la mia "donna ideale". Magari poco a poco inizio a sentirmi dentro il personaggio.
  • Incontrare altre donne: confrontarsi con altre donne può aiutarci a sfumare il nostro sguardo critico attraverso gli occhi delle altre. A me tutte le mie amiche sembrano bellissime, ognuna nel suo modo speciale, perciò posso aiutarle a vedersi come io le vedo e viceversa.
  • Sviluppare interessi, curiosità, aprirsi al mondo: accrescere lentamente il coraggio di essere se stessa permette alla donna di arricchire la sua personalità e avere a disposizione un ventaglio di risorse, interessi, passioni e qualità con cui offrirsi al mondo, dando così meno peso all'immagine corporea, che diventa solo una delle tante sfumature della propria persona.
E per chi ancora si sente sotto stress a pensare alla prova costume, consiglio un articolo con la soluzione definitiva! 

lunedì 3 giugno 2013

Non abbiate paura della vostra Ombra

"Un individuo, una società che rifiuta ogni momento di depressione e riconosce come positiva solo la posizione euforica si colloca sui toni della mania. E proietta sugli altri la gigantesca Ombra costituita da tutta l'oscurità, il lutto, la fatica, il dolore che non ha voluto riconoscere in se stessa."

Il piccolo libro dell'ombra - Robert Bly

Dove vanno a finire tutte le parti di noi che rifiutiamo?
Sono lo stesso parte di noi? Spariscono semplicemente?
In questo libro, l'autore riflette poeticamente sul sacco pieno di ombre che ognuno di noi porta con sé, spesso inconsapevolmente, per tutta la vita.
Ombre che si proiettano su chi ci è vicino, su chi non ci piace, sull'Altro.
Ombre che è difficilissimo assumere su di sé. Eppure bisogna mangiare l'ombra, riconoscendola e  integrandola, per evitare che ci agisca senza che ce ne accorgiamo e ci faccia prendere decisioni sbagliate.
Come si fa a riconoscerla, innanzitutto?
Facciamo attenzione a quello che ci dà fastidio, a chi ci sta antipatico a pelle, senza motivo apparente... probabilmente stiamo proiettando su quella persona qualche caratteristica della nostra Ombra.
Riappropriandocene saremo liberi di riconoscere in noi anche emozioni come la Rabbia e l'Aggressività, senza doverle per forza agire in modo distruttivo, anzi. Potremo darci il diritto di sentirle e viverle, farci attraversare da esse, e scegliere più consapevolmente quando, se e come agirle.

Momenti di incertezza

Nonostante tutto, tornano i dubbi e i momenti di incertezza. La crisi generale intorno fa da cassa di risonanza: tutti sono incerti e spaventati, i discorsi sono pessimisti. Cerco di guardare poco la televisione (e non è facile con un appassionato di telegiornali in casa...), di non farmi influenzare da quello che sento intorno: sfiducia, paura. Cerco di tirare dritta per la mia strada, ma sento sotto la superficie un'inquietudine fastidiosa, che provo a zittire.
Però, poco a poco... mi rendo conto a un certo punto che, come aspirante counselor, la cosa migliore che posso fare di queste emozioni che io sento risuonare dentro di me e non voglio accettare, è prendermene cura.
Ok, vorrei essere fiduciosa e invece ho paura. Vorrei credere in me stessa e invece non mi sento pronta. Vorrei essere ottimista e a volte non riesco ad esserlo. A volte non so nemmeno se sia saggio esserlo: mi sembra che l'ottimismo a tutti i costi rischi di diventare cecità di fronte alle difficoltà oggettive. Invece, preferisco parlare di fiducia: la fiducia che anche se non tutto andrà bene io sappia trovare il mio modo per percorrere la mia strada, per stare dalla mia parte, per sostenermi.
Respiro. Un respiro più ampio.
Forse un po' ha funzionato.
Forse sto iniziando a imparare che per sostenere gli altri bisogna prima di tutto prendersi sufficiente cura di se stessi. Razionalmente lo so da tempo, ma il mio corpo, le mie cellule, forse iniziano a memorizzarlo solo ora.

lunedì 22 aprile 2013

Il Convegno di Assocounseling 2013.


C’è un bocciòlo in tutte le cose, 
anche in quelle che non fioriscono, 
perché ogni cosa fiorisce, da dentro, per autobenedizione. 
Sebbene a volte sia necessario 
insegnare ancora alle cose la loro bellezza, 
mettere la mano sulla fronte accigliata del fiore, 
e ridirgli di nuovo con parole e col contatto 
che è bello, 
finché non fiorirà nuovamente, da dentro, per autobenedizione. 

L'emozione, gli occhi lucidi alla fine della presentazione di Giorgio Lavelli.
Riconoscere così il senso di ciò che sto facendo.
Poi, molti stimoli, presentazioni interessanti, spunti di lavoro, spunti di studio.
Alcune conferme confortanti, altre sfide che fanno un po' paura.

Questo è stato per me il Convegno Assocounseling di quest'anno.

Lavorare con un gruppo. La prima volta.

Una settimana fa ho organizzato una serata di incontro con alcuni compagni di corso.
Volevo parlare di un argomento che mi sta a cuore, la femminilità.
Inizialmente avevo preparato delle slides, una sorta di lezione. Poi mi sono resa conto che quello che volevo non era parlare ma ascoltare. Così ho deciso di non dire quasi nulla, tranne le domande che avevo in mente. E vedere cosa succedeva...
Ho scoperto la frustrazione di vedere che il gruppo va dove vuole e non dove volevo io. Ho scoperto la fatica di parlare di se stessi in modo autentico. Ho sentito il mio senso di inadeguatezza, la paura di non essere abbastanza autorevole, abbastanza direttiva.
Ho scoperto la gioia di raccogliere le perle che qualcuno ha avuto voglia di donarci. Mi sono stupita della curiosità, della partecipazione. Ho scoperto di aver scelto un tema che interessa a molti, anche se in modi diversi. Ho scoperto che posso condurre in modo dolce, a modo mio. Ho sentito il gruppo come una risorsa: nei giorni successivi mi sono arrivati ulteriori spunti e feedback.

E' stata la prima volta che facevo un lavoro del genere. All'inizio mi sono concentrata sulle mie presunte mancanze, ma ora ho voglia di dirmi da sola: brava!

martedì 9 aprile 2013

L'incontro con l'Altro

Mi stupisco sempre di quanto sia per me emozionante incontrare l'Altro.
Nella vita quotidiana spesso non ci si fa caso, ci si presenta come se nulla fosse, più attenti a dire il proprio nome che ad ascoltare quello dell'altro: il tempo di una stretta di mano e via, senza quasi guardarsi in faccia.
Grazie a diverse esperienze nell'ambito della scuola e non solo, mi accorgo invece di quanto possa essere intenso incontrare un'altra persona.
Magari, come ieri sera, non essersi mai viste: eppure scegliersi in mezzo ad altri 10 semplicemente guardandosi negli occhi. E in quello sguardo riconoscersi un po', ma anche vedere un mistero insondabile. Sentirsi addosso, semplicemente guardandosi, curiosità, interesse e anche un po' di affetto. Ma anche paura. Che paura che fa, lasciarsi guardare da vicino, in silenzio! E intanto guardare nella profondità dello sguardo altrui.
Ci sono due mondi, dietro quegli occhi, e nello sguardo un ponte.

mercoledì 3 aprile 2013

Sulla Femminilità

Negli ultimi mesi ho fatto un po' di ricerca sul tema della femminilità. No, in realtà è tutta la vita che ci penso e mi interrogo, ma ultimamente anziché considerarlo un tema buono per quando non riesco a dormire mi sono decisa a prendermi sul serio. A prendere sul serio le sensazioni che covavo dentro, quando si tratta di "femminilità" e media, di femminilità e stereotipi, di "essere una vera donna" e tutto il resto.
Inadeguatezza. Paura. Odio per me stessa, a volte. Insicurezza. Giudizio. Critica.
Dall'adolescenza in poi, per anni sono state queste le emozioni che provavo riguardo al mio essere donna.
Cosa vuol dire essere una donna? mi chiedevo. Sembrava che per esserlo bisognasse amare vestiti e trucchi, volersi fidanzare, andare in giro a gruppi spettegolando. Questo al liceo. Mi sentivo incredibilmente poco donna e molto essere umano, invece, e non sapevo come integrare il fatto che ero indiscutibilmente una femmina con tutto il resto. Quanto il fatto che sono una femmina influisce sulla mia identità? Quanto le donne che incontro nella realtà e nei media contribuiscono a farmi sentire inadeguata al "canone" di femminilità? E i maschi: sembra che loro l'idea su cosa sono le donne ce l'abbiano molto chiara, e io avevo voglia di ribellarmici, di mostrare loro che eravamo invece uguali.
Per questo, per un po' di tempo, tagliavo i capelli corti-corti, mettevo solo jeans e felpe. Mi rifiutavo di fare la velina, io che a 15 anni avrei anche potuto assomigliare a una di loro. Le emozioni di allora erano un groviglio confuso. Non sapevo chi ero, forse sapevo un po' di più chi non ero.
Insomma, ero sempre troppo o troppo poco: troppo grassa, troppo occhialuta, troppo timida, troppo secchiona, troppo poco seno, troppo seria. Ero un po' confusa in generale, ma sulla femminilità soprattutto. Davvero basta comprarsi i prodotti giusti e truccarsi, per essere una donna?
E come fare per smettere di odiare il proprio corpo, così irrimediabilmente unico e diverso da tutti gli altri?
C'è voluto del tempo. Ho letto libri, guardato film. Ho scoperto il lavoro di Lorella Zanardo sul Corpo delle donne. Ho seguito blog di donne intelligenti e coraggiose e vere! Ho scoperto quanto bisogno avevo di modelli diversi. Ho smesso di parlare di diete. Con l'aiuto della Gestalt sono tornata dentro il corpo, anziché guardarmi da fuori. Ho scoperto la bellezza di stare nel corpo, sentire il respiro, sentire i piedi appoggiati sul pavimento. Ho imparato a voler bene ai polpaccioni, alla pancetta, al seno troppo piccolo. Ho iniziato a guardarmi allo specchio senza fermarmi sui dettagli. Mi sono vista tutta intera, con lo sguardo penetrante di chi si sta guardando anche dentro.
Ho iniziato a fare quello che mi piace, usando il corpo come un alleato: lo ascolto e lui mi dice dove andare, cosa mi fa bene e cosa no. Ho iniziato a cercare la mia bellezza in un modo diverso: non la bellezza fissa delle pubblicità, fatta di manichini inanimati, ma la bellezza in movimento, quella dei gesti, dei capelli che si muovono al vento, degli occhi che ridono.
Ho smesso di pretendere di essere uguale a un uomo: forse non è così, c'è della differenza, e questa differenza può essere bella e valorizzata.
Ora mi sento soprattutto essere umano, molto donna, e anche un po' uomo (è la mia parte maschile che inizia ad avere consapevolezza di sé...). E sto lavorando per poterne parlare insieme e capire come far sì che ognuna possa trovare un po' più facilmente la strada verso se stessa.

Scarpette Rosse - Donne che corrono coi lupi

In questo periodo sto leggendo il bellissimo libro Donne che corrono coi lupi. E' un best-seller letto da milioni di donne, eppure mi pare a volte che parli proprio a me.
Mi colpisce la forza, la potenza delle storie che racconta, degli archetipi femminili che porta. Ecco! mi viene da dire, Ecco la femminilità potente, selvaggia! Altro che le principessine delle fiabe edulcorate che vengono disegnate nei cartoni animati.
Mi stupisce quanto siano stati indeboliti gli archetipi femminili fino a trasformarli in figurine senza spessore.
Quando ho letto Barbablù ho riflettuto sulla mia difficoltà a difendermi, a fidarmi del mio istinto. Quando ho letto il Brutto Anatroccolo ho ripensato a tutto il percorso di auto-accettazione che ho dovuto fare... La Donna Scheletro è una bellissima storia d'amore senza fronzoli. E Scarpette Rosse... l'ho letta da poco, ora ne sto approfondendo l'interpretazione.
E ci ripensavo oggi, colta da un attacco di insofferenza. Ripensavo al dolore che provoca il doversi ripiegare, il doversi ammutolire, doversi nascondere. In realtà è sempre una scelta. Forse la scelta più comoda. O forse a volte l'unica percorribile, quando si sente che l'ambiente intorno è ostile e l'unico modo per sopravvivere è farsi invisibile. Fino a diventarlo davvero.

mercoledì 27 marzo 2013

Quando è iniziato tutto?

Potrei dire che tutto è iniziato il giorno in cui sono entrata nello studio di A. e ho poggiato a terra le mie difese insieme alla borsa. In quella casa oltre il fiume ho sentito una sensazione di pace nella pancia. Poi, tornando a casa in pullman (era la primavera dell'anno scorso) guardavo gli alberi verdi ondeggiare i loro rami sull'acqua e il cielo era azzurro e dentro di me si era aperto qualcosa.
Potrei dire che è iniziato tutto quando, nello studio di P. che ancora mi conosceva pochissimo, mi era stata rivolta la domanda: "non hai mai pensato al counseling?". Erano anni che ci pensavo. E mi sono chiesta: chissà cosa aveva già intuito di me? o forse era stata solo un azzardo, quella domanda.
Potrei dire che è iniziato tutto quando ancora lavoravo nell'Ufficio Allegro, e non pensavo che avrei voluto cambiare lavoro, e però di tanto in tanto curiosavo in queste cose e le tenevo lì.
O forse è stato tutto l'insieme delle cose della vita.

La primavera che sono entrata per la prima volta nello studio di A. era già un anno che avevo cambiato casa e lavoro e avevo la forte sensazione di non averne combinata una giusta. Sentivo che dov'ero non era il mio posto, ma che il mio posto non riuscivo a trovarlo. Avevo provato un corso di riflessologia plantare cinese che dopo il primo entusiasmo mi aveva un po' annoiata. Avevo soppesato i percorsi formativi di diverse scuole di naturopatia. Mi ero quasi iscritta a una di queste, ma per fortuna avevo ascoltato la sensazione irritante di non essere convinta del tutto. Me la prendevo con me stessa, ovviamente, perché pensavo fosse colpa della mia inconcludenza.

Ero smarrita, finita in un lavoro che avrebbe dovuto essere un gancio momentaneo per aiutarmi a scappare dal paesino verso la città e invece stava diventando la tomba del mio entusiasmo e della mia curiosità.
Il lavoro che facevo prima era per me importante, contribuiva molto alla definizione della mia identità. Nel nuovo ufficio invece ero diventata un automa. Le mie poche timide proposte creative venivano quasi sempre criticate e scartate senza pietà. Mi sentivo sminuita, annoiata, inaridita.

Non ricordo bene il processo decisionale che mi portò a iscrivermi alla scuola. La mia parte razionale mi costrinse ad informarmi in diverse scuole, stamparmi i programmi, valutare i crediti formativi... non sapevo che poi la scelta l'avrei presa con la pancia, dove sta il mio lato più istintivo e attento.
Avevo alle mie spalle anni di laboratori teatrali, una parte di me era abituata a mettersi a nudo. Ma non sapevo che il lavoro che mi aspettava sarebbe stato così intenso e avrebbe inciso così tanto sulla mia vita.

lunedì 25 marzo 2013

Si ricomincia?

E' da tanto che non scrivo. Mi viene paura di essermi arrugginita. Ci provo, se qualcuno mi legge abbia pazienza.
Ho aperto diversi blog negli ultimi anni e poi li ho lentamente abbandonati.
Uno sulla scrittura: ma di parlare solo di parole dopo un po' mi sono stufata, e la vita non mi ha fatto diventare copywriter come inizialmente speravo, per ora.
Uno sul massaggio: passione improvvisa, momentaneamente accantonata per vari motivi, che rimane però una risorsa da riprendere, spero, tra un po' di tempo.
Uno di pensieri vari: il più intimo, ma anche difficile da mantenere, tra uno sbalzo di umore e l'altro.
L'ultimo era sulla naturopatia e già mi si affacciava qualche idea sul counseling. Ancora dovevo scoprire bene di cosa si trattava però. Ho poi capito che la naturopatia non faceva per me: nonostante i miei studi pseudo-artistici ho un lato scientifico molto sviluppato che fatica ad accettare le spiegazioni sommarie e le prese di posizione vaghe e romantiche :-) naturopati in ascolto, non prendetevela... mi piacete molto, ma cristalli e vibrazioni non mi si addicono.
Così, finalmente ho ceduto. Erano anni che volevo farlo. C'erano anche alcuni impedimenti concreti, ma era soprattutto il mio lato razionale che obiettava.
Costa troppo! Non ti porterà a niente! Gli psicologi se la prenderanno con te e diventerai vittima di bullismo! 
(Sto scherzando!)
Insomma, mi sono iscritta a una scuola di counseling.
E' stata una delle scelte migliori della mia vita. Ora che ho messo insieme un po' di pezzi di me, sia in senso figurato con il lavoro su me stessa, che in senso materiale importando vecchi post che mi sembra abbiano ancora un senso, sono tornata qui per raccontarvela.
Raccontarmela.
Raccontarcela.
Ecco.